martedì 16 maggio 2017

Aiutiamoli a casa loro

Senza ombra di dubbio "Aiutarli a casa loro" è il mantra di coloro che non vogliono tra i piedi gli immigrati. E' un mantra "elegante", in fondo buonista, di solito accompagnato dalla classica espressione "io non sono razzista, ma...". E' il modo per lavarsi la coscienza, per dire che si in effetti aiutiamoli sti poveri cristi, non li lasceremo mai nella povertà, alla fame, tra le guerre e le tragedie più immani del mondo, ma sempre a casa loro, perchè qui non cè nè per tutti, ovvio. 

La cosa giusta da fare (visto che per secoli l'Occidente ha usurpato le ricchezze inestimabili di cui godono - in relatà, godevano -  i cosi detti "Paesi del terzo mondo") sarebbe quella di aiutarli a prescindere, a casa loro o a casa nostra. Ma non tutti sanno che "aiutarli a casa loro" seppur rimane la cosa giusta da fare, significa, per noi che vogliamo aiutarli, la cosa più costosa da fare. Sembra un paradosso, eppure è cosi. Vi racconto quel che ho ascoltato con molto interesse ieri in Radio. E' la storia di un Paese bellissimo, la Nigeria. La Nigeria è tra i Paesi da cui più immigrati partono per l'Italia e per l'Europa, alla ricerca di un futuro. La Nigeria, tra i tanti, ha un luogo definito "un paradiso", che lo era almeno fino agli anni '50, quando cioè si scoprì che li vi era il petrolio. Il Delta del fiume Niger, un luogo ricchissimo di natura incontaminata divenuto, dopo gli anni 50, un luogo devastato dalle multinazionali petrolifere occidentali che vi si gettarono a capofitto, motivo poi negli anni di conflitti armati e di povertà della popolazione, privata dalle ricchezze prodotte, su cui l'Occidente appunto ha messo le mani. Chiaramente a nessuno interessa bonificare gli impianti petroliferi e l'area del delta del Niger (Impianti costruiti con criteri che se ne infischiavano altamente della sicurezza ambientale). A nessuno interessa far lavorare in Eni, Shell, Total, Chevron, ExxoN Mobil ingegneri nigeriani, forse manovalanza a basso costo si, ma i cervelli li importano dagli Stati provenienti. Naturalmente, il petrolio prodotto in Niger (2 milioni di barili al giorno) costa meno del petrolio prodotto in Norvegia (giusto per fare un esempio) dove te lo devono dire di stare nei pressi di una Raffineria, perchè per quanto pulita, sicura e controllata, non te ne accorgi nemmeno. Ecco. "Aiutarli a casa loro" significa, ad esempio, bonificare il delta del Niger su cui sorgono le Raffinerie Occidentali, un'area immensa (70000 kmq). Significa far assumere alle aziende li operanti personale del posto. Significa creare quella qualità, quella sicurezza, quegli standard ambientali per cui il petrolio nigeriano potrebbe costare quasi come quello norvegese, sicuramente di più di quanto costa oggi. Ecco perchè "aiutarli a casa loro" a noi Occidente costerebbe di più, ma molto di più, che accoglierne qui un numero congruo e controllato. Ora, dopo questa storiella triste, siamo ancora disposti a volerli aiutare a casa loro? e se si, come mi auguro, chi se li accolla i costi per aiutarli a casa loro? L'Eni? Trump? l'Onu? la Nato? o semplicemente noi tutti, che inconsapevolmente (e involontariamente) siamo la causa di tutti i loro problemi? Perchè, inevitabilmente, il nostro benessere (e cioè l'avere il "macchinone" sotto casa, il fighissimo cellulare alla moda, il maxi schermo del cazzo) si basa sulla loro sofferenza. Così è stato e cosi sarà. Pensiamoci anche in questo momento, mentre apprendiamo che arriveranno anche in Martesana, a Cassina de Pecchi. Forse non dalla Nigeria, ma da altri lugohi simili, con storie simili. Pensiamoci, solo per un attimo. Poi continuiamo pure a imprecare contro di loro, contro lo Stato, contro l'integrazione. Ma, almeno per un secondo, guardiamoci allo specchio. Io intanto Sabato andrò a Milano a dire che non ho paura della multiculturalità. Che non ho paura del diverso. Che non temo per il mio lavoro e per il mio futuro. Andrò a Milano con questo pensiero: a casa loro o a casa nostra, il nostro pezzetto lo dobbiamo fare. Anche Cassina de Pecchi lo deve fare. Non possiamo tirarci indietro, del resto qualche responsabilità è anche nostra.  

PS Userò la mia pausa pranzo per raccontarvi di quel che già alcuni hanno annunciato e cioè che Cassina non sta alla finestra a guardare. 

Nessun commento:

Posta un commento